Patologie della mano, del polso, e del gomito

Il Morbo di Dupuytren

Una patologia benigna e ben curabile

Questa malattia, molto diffusa, consiste nella formazione lenta e graduale di noduli duri al palmo della mano, che talvolta coinvolgono le dita e può comportare, nelle fasi più avanzate, l'impossibilità ad estendere completamente le dita stesse.

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Il Barone di Guillaume Dupuytren, primo chirurgo della corte di Luigi XVIII, fu il primo a descrivere tale patologia, dopo averla osservata sulla mano del proprio cocchiere. Gli studi epidemiologici ci dicono che si riscontra più frequentemente nel sesso maschile, dopo i quaranta anni, con una prevalenza di dieci a uno rispetto al sesso femminile. Ha una induzione genetica dal momento che si trasmette con le caratteristiche della forma autosomica dominante, pur esprimendosi con modalità e gravità diversa nei diversi individui. Secondo alcuni studi epidemiologici sembra che siano state le popolazioni celtiche a tramandare tale patologia. Alcune malattie sembrano favorire l'insorgenza del Morbo di Dupuytren, come l'epilessia, le broncopneumopatie croniche ostruttive, l'asma bronchiale, l'ischemia miocardia, il diabete e l'artrite reumatoide. Si è riscontrata inoltre una maggior incidenza nei fumatori e negli alcoolisti. Queste cause favorenti inducono a pensare che tutto ciò che limita una adeguata ossigenazione dei tessuti favorisce l'insorgenza di questa patologia predisposta geneticamente. Un tempo si pensava che le cause prime fossero i microtraumi ripetuti o l'utilizzo costante di utensili che producano vibrazioni, ma non si è mai dimostrata una precisa correlazione fra questi e la patologia.

Come si esprime

Come già abbiamo detto la patologia si presenta in individui in genere di sesso maschile. L'evoluzione è irregolare nel tempo. Può rimanere silente per anni per poi evolvere bruscamente in pochi mesi. La persona colpita nota generalmente l'insorgenza di minuti noduli al palmo, che interpreta solamente come callosità. Nei mesi successivi tuttavia questi noduli aumentano di dimensioni. È colpito prevalentemente il quarto raggio al palmo e poi conseguentemente il quarto dito, ma la patologia può insorgere in qualsiasi altro raggio o in più raggi contemporaneamente.

Morbo di Dupuytren al quarto raggio del palmo e al quarto dito
Morbo di Dupuytren al quarto raggio del palmo e al quarto dito

Il fatto che la patologia non sia quasi mai accompagnata da dolore fa sì che si procrastini spesso la visita dallo specialista fino a quando la progressione della patologia ha assunto una certa rilevanza. Inizialmente la presenza dei cordoni fibrosi al palmo non comporta una difficoltà alla mobilizzazione delle dita ma col tempo i cordoni retraendosi determinano un atteggiamento in flessione del dito interessato con conseguente impossibilità all'estensione dello stesso. La limitazione della funzione meccanica rappresenta quindi il disagio maggiore arrecato da questa malattia.

Come si cura

Il Morbo di Dupuytren causa una disfunzione prevalentemente meccanica ed è quindi intuibile come il trattamento possa essere preferenzialmente chirurgico. La terapia conservativa (Roentegenterapia, vitamina E, infiltrazioni locali con steroidi) è risultata inefficace o per lo meno insoddisfacente. Prima di definire come si interviene con la chirurgia, è, a mio parere utile definire quando è necessario intervenire.

Scegliere il momento ideale per l'intervento è un elemento fondamentale per ottenere il miglior risultato nella cura.

E' utile identificare, sommariamente tre stadi della patologia. Il primo contempla la presenza di noduli palmari con retrazioni cutanee di uno o più raggi senza alcuna difficoltà all'estensione delle dita. Nel secondo stadio si può osservare un aumento delle dimensioni dei cordoni palmari che evolvono fino alla falange prossimale di uno o più dita impedendo così, anche se modestamente, l'estensione completa delle stesse. Nel terzo stadio si riscontra un incremento delle dimensioni dei noduli e delle retrazioni al palmo e alle dita con notevole difficoltà all'estensione delle stesse. L'intervento chirurgico consiste nelle asportazione dei noduli e cordoni retraenti dell'aponevrosi (aponevrectomia o fascectomia).

Evidenza del cordone fibroso sottocutaneo
Evidenza del cordone fibroso sottocutaneo

Se si interviene nel primo stadio, quando la patologia non ha avuto la sua piena espressione vi sarà una possibilità maggiore di recidive per impossibilità di eseguire una asportazione radicale in quei punti del palmo dove la patologia all'esordio non ha ancora assunto caratteri visibili. Se si interviene al terzo stadio si rischia di non ottenere la completa funzionalità delle dita in flessione ed estensione, pur avendo eseguito una asportazione completa dei noduli, e di incorrere in misura percentualmente maggiore a rischio di complicanze neurologiche, per maggior sofferenza dei nervi digitali, e cutanee, per necrosi post-chirurgiche della pelle. L'estensione del dito, dopo tanto tempo di flessione coatta, può comportare lo stiramento dei vasi e dei nervi e quindi un danno permanente degli stessi. Il momento migliore per essere sottoposti all'intervento è il secondo stadio della patologia che può essere indicato solo da uno specialista esperto del settore, essendo la malattia multiforme nelle sue manifestazioni, e talvolta non di semplice interpretazione. Scegliere il momento idoneo per intervenire equivale a ridurre al minimo le complicanze vascolari e neurologiche, oltre che le recidive della patologia.

Il recupero post operatorio dipende dalla gravità della patologia. I tempi di guarigione variano quindi, salvo complicanze, dai 30 ai 60 giorni, se consideriamo anche il tempo necessario per un recupero motorio completo della mano.

Per fare onore alla completezza ricordiamo che vi sono forme rare della patologia che sono particolarmente aggressive e considerate "maligne", anche se il termine malignità, nel caso specifico, non ha alcuna attinenza con le neoplasie. La malignità consiste in una evoluzione veloce e diffusa dei noduli con una maggior incidenza di recidive locali. Concludiamo tuttavia riconfermando che la persona affetta dal Mordo di Dupuytren se curata nei tempi giusti con le dovute modalità ed in ambito superspecialistico può godere nella maggior parte dei casi di una guarigione completa.

Rizoartrosi

La rizoartrosi è un malattia degenerativa cronica che colpisce elettivamente l'articolazione trapezio-metacarpale della mano. Le cause dell'insorgenza di tale patologia sono imputabili alla costituzionalità della persona e ai comportamenti che la possono favorirne l'insorgenza. Vengono colpite prevalentemente le donne nella terza fase della vita, anche se i primi sintomi della malattia si possono riscontrare fin dai 45 anni. Gli uomini non sono esclusi da tale patologia, anche se colpiti in misura percentualmente minore.

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Decorso

Insorge tipicamente con dolore in corrispondenza della base del primo dito esclusivamente durante le attività manuali che prevedono prese di forza come l'apertura di barattoli e utilizzo delle forbici. Al dolore può non essere correlato alcun altro sintomo, tranne un modesto gonfiore in corrispondenza della base del primo dito. Al controllo radiografico non si evidenziano alterazioni articolari e ossee.

La progressione della malattia prevede un incremento del dolore anche durante le attività manuali che non prevedono sforzi. Risulta più evidente la tumefazione alla base del primo dito. La radiografia può mettere in luce alterazioni del profilo articolare con diminuzione della rima trapezio-metacarpale.

Nelle fasi avanzate il danno articolare diventa rilevante. Si esprime con dolore talvolta intenso ai movimenti, tumefazione, deformità della base del primo dito e rigidità articolare, che si esprime con la difficoltà all'abduzione e opposizione del primo dito e quindi con la difficoltà all'esecuzione della pinza pollice-altre dite, abilità che ha rappresentato un passo evolutivo importante dell'uomo rispetto agli altri animali. Il quadro radiografico svela una grave compromissione articolare con azzeramento dello spazio interosseo, con osteofitosi e calcificazioni periarticolari e talvolta con sublussazione della base del primo metacarpo. IMAGO

Quadri radiografici di rizoartrosi
Quadri radiografici di rizoartrosi

Bisogna tuttavia sottolineare che anche nelle fasi avanzate talvolta la patologia presenta un andamento altalenante che prevede l'alternarsi di periodi di remissione quasi completa del dolore con periodi di riacutizzazione nei quali il dolore intenso ai movimenti si esprime anche a riposo.

Come affrontare il disagio?

Bisogna premettere che l'esprimersi dei sintomi, nella fattispecie l'infiammazione, il dolore e l'impotenza funzionale, dipende dall'intensità e dalla ripetitività delle sollecitazioni a cui viene sottoposta l'articolazione. Chi svolge attività lavorativa non manuale, benché possa soffrire di periodi di dolore anche intenso ai movimenti, può godere tuttavia di periodi di remissione anche completa della sintomatologia dolorosa anche quando la rizoartrosi si presenta al controllo radiografico in uno stadio avanzato. La possibilità di far riposare l'articolazione trapezio-metacarpale rende anche più efficaci i trattamenti conservativi come i farmaci antinfiammatori, la ionoforesi, le bacinelle galvaniche e la laserterapia.

Trattamento chirurgico

Nelle fasi avanzate, per le quali i trattamenti conservativi si rivelano inefficaci, è necessario ricorrere all'intervento chirurgico. Nei casi dove la funzione è conservata e predomina la sintomatologia dolorosa, può essere indicato un intervento mini invasivo come la denervazione selettiva articolare che ha una funzione analgesica e, non essendo un intervento demolitivo, non elimina la causa della malattia.
Gli interventi considerati risolutivi della patologia sono essenzialmente di tre tipi e devono essere svolti dal chirurgo ortopedico in ambiente superspecialistico:

  1. L'artrodesi trapezio-metacarpale. A tale intervento, che prevede l'eliminazione dell'articolazione trapezio metacarpale e l'unione delle due ossa con mezzi metallici, si ricorre sempre più raramente, dal momento che crea una parziale rigidità alla base del dito, pur risolvendo il problema del dolore. E' indicato per chi esegue regolarmente lavori manuali pesanti, dal momento che sembra ristabilire la possibilità di eseguire prese di forza efficaci ipoteticamente più di altri interventi
  2. L'artroprotesi dell'articolazione trapezio-metacarpale è un intervento che può condurre alla risoluzione completa del dolore e garantire una buona articolarità, tuttavia, essendo l'articolazione protesizzata soggetta a costanti sollecitazioni di varia natura, non è infrequente la mobilizzazione dell'impianto protesico, che può rappresentare una complicanza non sempre semplice da risolvere.
  3. La plastica di tenosospensione rappresenta l'intervento a cui ricorro maggiormente nella mia pratica chirurgica, poiché ripristina bene il movimento alla base del primo dito, elimina il dolore e non prevede l'utilizzo di mezzi metallici di sintesi o protesici che potrebbero mobilizzarsi nel tempo. Benché i tempi di recupero completo della forza e della mobilità, non siano brevi, la scarsa incidenza di complicanze rende questo un approccio di prima scelta.

L'anestesia prevista generalmente per tali interventi è l'anestesia plessica, eseguita generalmente in regione ascellare, che permette l'anestesia di tutto l'arto superiore e la possibilità di applicare un laccio emostatico per l'esanguità al braccio per un periodo medio-lungo di 40, 60 minuti utile all'intervento.

Il decorso post operatorio dopo l'intervento di plastica di tenosospensione, prevede l'immobilizzazione in gesso o tutore antibrachio-metacarpale per circa 20 giorni; seguirà l'applicazione di un tutore di sola immobilizzazione del primo raggio da rimuovere gradualmente e da dismettere completamente nel giro di circa 15 giorni. Seguirà un breve periodo riabilitativo. La ripresa completa della forza di presa e della presa di precisione non avviene in genere prima dei tre mesi dall'intervento chirurgico, anche se il recupero dell'autonomia nelle mansioni quotidiane si ottiene in genere dopo 45 giorni.

Compressione del nervo ulnare al gomito

Anatomia, patologia e cause

Il nervo ulnare è un nervo parzialmente sensitivo, essendo responsabile della sensibilità del quinto dito e del lato ulnare del quarto dito della mano, ma è anche motore, poiché innerva diversi muscoli intrinseci della mano che intervengono nelle prese di forza e di precisione (interossei volari e dorsali, ipotenari, l'adduttore del pollice, il primo interosseo dorsale, i lombricali del quarto e del quinto dito, parte del flessore breve del pollice). Le sedi dove più frequentemente si può verificare una sofferenza del nervo ulnare sono in prossimità del suo decorso al gomito e al polso (al canale di Guyon). In corrispondenza del gomito si può instaurare una condizione di compressione in 5 punti: sia prima della doccia epitrocleo-olecranica (all'Arcata fibrosa di Struthers e al setto fibroso fra tricipite e brachiale anteriore); alla doccia epitrocleo-lecranica stessa; dopo la doccia all'arcata di Osborne fra i due capi del flessore ulnare del carpo e al canale del flessore ulnare del carpo.

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Diverse sono le cause di compressione: fattori occupazionali, esiti di traumi, masse occupanti spazio; valgismo del gomito. Nella maggior parte dei casi non è ben individuabile una causa specifica (idiopatiche).

Esposizione del nervo ulnare alla doccia epitrocleo-olecranica del gomito
Esposizione del nervo ulnare alla doccia epitrocleo-olecranica del gomito

Diagnosi

Nelle fasi iniziali la compressione del nervo ulnare comporta l'esclusiva alterazione della sensibilità e viene risparmiata la parte motoria. La persona colpita riferirà parestesie in corrispondenza del quinto dito e alla metà ulnare del quarto dito, inizialmente insorgenti in modo saltuario, per poi persistere costantemente. Le l'aggravamento della patologia prevede una compromissione anche delle fibre motorie con conseguente diminuzione della forza di presa della mano, della presa di precisione e dell'abilità. In questa fase saranno positivi i tests di Froment e di Wartemberg. Il primo, che svela l'insufficienza dell'adduttore e del primo interosseo dorsale, consiste nell'instabilità della pinza indice-pollice associata all'instabilità dell'articolazione metacarpo-falangea del primo dito, che si verifica nel trattenere un foglio. Il secondo è rappresentato dalla iperabduzione del quinto dito con difficoltà ad addurre il dito. La diognosi clinica, con le alterazioni sopra descritte deve essere suffragata dalla positività dell'elettromiografia (EMG), che dimostra la sede del rallentamento della VCM (velocità di conduzione motoria) e VCS (velocità di conduzione sensitiva). Inoltre l'EMG ci può informare anche sull'entità del danno che hanno subito gli assoni (fibre) del nervo e aiuta a formulare la prognosi. Anche l'ecografia può dare indicazioni utili ad una diagnosi precisa, svelando le alterazioni di diametro del nervo.

Trattamento conservativo

Nello stadio della patologia in cui le alterazioni della sensibilità sono lievi o non persistenti può essere indicato l'utilizzo di un tutore che limita l'eccessiva flessione del gomito per qualche mese, in modo da evitare ripetuti stiramenti del nervo ulnare, fino alla scomparsa del disturbo. In questa fase possono essere utili alla guarigione farmaci come L-acetilcarnitina (neurotrofico).

Trattamento chirurgico

Quando le alterazioni della sensibilità (parestesie, ipoestesia) sono persistenti e si associano ad un deficit motorio in termini di perdita di forza e di destrezza, è necessario l'intervento chirurgico. In tutti quei casi dove vi può essere una causa che occupa spazio o che disturba la funzione nervosa, come osteofitosi per gomiti artrosici, condromatosi, gangli artrogeni, artrosinoviti, cubito valgo e sublussazione nervosa, l'intervento chirurgico prevede l'eliminazione della causa (asportazione delle neoformazioni o correzione delle deformità).

Nelle forme cosiddette "idiopatiche" nelle quali non è riconosciuta una causa specifica, è quasi sempre indicato, secondo il mio parere professionale, l'intervento chirurgico di liberazione e neurolisi esterna del nervo "in situ" (1). Nelle altre forme, oltre all'eliminazione della causa, è talvolta contemplato l'intervento chirurgico di trasposizione anteriore sottomuscolare del nervo ulnare (2).

  1. La liberazione (decompressione) e neurolisi esterna secondo Osborne prevede la liberazione del nervo dai possibili punti di vincolo e compressione tramite la sezione del legamento epitrocleo-olecranico, la sezione dell'arcata di Osborne e la sezione dell'arcata del flessore ulnare del carpo. Ciò prevede una migliore ripartizione dell'allungamento del nervo nei movimenti di flesso-estensione del gomito. Contestualmente si procede alla neurolisi esterna.
  2. L'intervento chirurgico di trasposizione anteriore sottomuscolare è indicato quando il nervo non ha più un domicilio sicuro nella sede originaria (gomito valgo; sublussazione nervosa; alterazione della regolarità del canale osseo; fallimento della decompressione). La tecnica consiste nella disinserzione dei muscoli pronatori e flessori dell'avambraccio alla loro giunzione prossimale all'epitroclea con una incisione a zeta. Si prosegue con la liberazione del nervo ulnare, rispettando il connettivo epineurale, e la trasposizione anteriore dello stesso oltre l'epitroclea sul piano osseo. Vengono poi suturati sopra al nervo i muscoli nella loro inserzione originale, allungandoli di qualche millimetro, per evitare la possibile tensione sul nervo stesso. Una variazione della tecnica prevede la il distacco (osteotomia) della troclea, la trasposizione anteriore del nervo sottomuscolare e la sintesi con una vite della troclea nella sede originaria. Tale intervento evita il distacco muscolare e gli eventuali esiti cicatriziali conseguenti, tuttavia prevede l'utilizzo di una vite metallica. L'intervento chirurgico di trasposizione del nervo anteriormente è un intervento da riservarsi, a parer mio, a casi selezionati, quando diventa inutile la tecnica di Osborne, essendo più invasivo e prevedendo la parziale devascolarizzazione del nervo dovuta all'inevitabile sezione di alcuni vasi nutritizi.

Ricovero e decorso postoperatorio

L'intervento chirurgico decompressivo di Osborne può durare da venti a trenta minuti e prevede il ricovero di un giorno. L'anestesia preferita è plessica, con una iniezione ascellare, per anestetizzare l'arto superiore e posizionare un laccio emostatico al braccio allo scopo di poter creare una condizione di esanguità necessaria ad una adeguata visione e corretta esecuzione dell'intervento.

Dopo l'intervento è preferibile applicare un tutore di immobilizzazione del gomito in flessione a 75° per i primo 5 giorni, per evitare dolore ed il formarsi di ematomi. Seguirà una cauta e progressiva mobilizzazione nelle settimane successive.

La prognosi è in genere di 30 giorni (salvo complicanze) durante i quali è consigliata astensione da attività lavorativa manuale.

Complicanze possibili

Diverse sono le possibili complicanze, per fortuna quasi tute sotto l'unità percentuale. In sede chirurgica si può verificare il danno iatrogeno del nervo (assai raro). Rarissimi sono i danni vascolari. Le complicanze poschirurgiche a breve distanza possono essere: il formarsi di un ematoma con successiva ecchimosi emorragica. In quasi tutti i casi si verifica un riassorbimento spontaneo senza necessità di evacuazione. L'infezione della sede chirurgica, evento assai raro, Tale rischio viene diminuito con la somministrazione di un antibiotico ad ampio spettro il giorno dell'intervento. Tumefazione e dolore in corrispondenza della ferita chirurgica (in genere dura pochi giorni e si contrasta con utilizzo di farmaci antinfiammatori. Iperalgesia e disestesia limitrofa alla sede di intervento chirurgico, dovuta all'ipereccitabilità del nervo ulnare. In tali casi è suscitabile il dolore anche alla pressione superficiale. Può essere indicato un tutore di protezione per qualche settimana, l'utilizzo di analgesici agenti sul dolore neuropatico e successivamente neurotrofici. In rari casi, benché sia stata eseguita una corretta liberazione del nervo, si può verificare un nuovo intrappolamento del nervo stesso, dovuto agli esiti fibrotici cicatriziali dell'intervento stesso. E' quindi raramente previsto un secondo intervento di liberazione.

Il paziente deve essere consapevole degli scopi e dei limiti dell'intervento stesso. Per ottenere un risultato ottimo, buono o almeno soddisfacente, è importante giungere ad intervento chirurgico quando non si è ancora verificato un danno permanente delle fibre nervose (neuroapraxia: incapacità temporanea del nervo di condurre l'impulso). Se si giunge all'intervento chirurgico quando le fibre del nervo hanno già subito dei danni degenerati irreparabili si potranno avere risultati scarsi o insoddisfacenti. Nella condizione di axonotmesi, quando il danno assonale parziale o totale (delle fibre) si è verificato, la presenza del tubo endoneurale integro (la guaina che contiene le fibre), può favorire, dopo l'intervento di liberazione, la ricrescita degli assoni e un parziale recupero della sensibilità e della forza. In tali casi la buona riuscita dell'intervento non può essere garantita, anche se l'intervento deve essere eseguito per un tentativo di recupero del nervo, ma soprattutto per evitare ulteriori fenomeni degenerativi che comporterebbero un peggioramento della patologia.

Compressione del nervo ulnare al canale di Guyon

Il canale di Guyon è una struttura osteofibrosa posta anteriormente al polso fra uncinato e pisiforme, che accoglie il nervo ulnare e l'arteria e la vena omonime. Il nervo, giunto nella porzione centrale del canale si divide nelle due branche terminali, una più superficiale quasi completamente sensitiva, che raccoglie la sensibilità del quinto dito e del lato ulnare del quarto dito, e una profonda motrice, che innerva il 3° e 4° lombricale, tutti gli interossei, l'adduttore del pollice e parte del flessore breve del pollice.

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La sintomatologia sia sensitiva che motoria è nella maggior parte dei casi pressoché sovrapponibile a quella descritta per la compressione del nervo ulnare al gomito. Le cause sono principalmente da masse occupanti spazio, come cisti sinoviali insorgenti dall'articolazione piso-piramidale o dalla radio-ulno-carpale. Altre cause possono essere i lipomi o i tumori a cellule giganti. Anche i microtraumatismi ripetuti, in certe categorie di lavoratori, negli utilizzatori di bastoni canadesi e nei ciclisti, possono creare una condizione di sofferenza da compressione del nervo ulnare. Talvolta la sintomatologia può presentarsi solo come deficit sensitivo o solo come deficit motorio se la causa di compressione è più distale e colpisce esclusivamente la branca sensitiva o esclusivamente quella motoria.

L'eventuale trattamento conservativo con tutori di immobilizzazione, non porta quasi mai a risoluzione della patologia. L'eliminazione dei microtraumi ripetuti, quando identificata la causa, può essere risolutiva.

Il trattamento chirurgico prevede una anestesia plessica brachiale e consiste nella apertura del ligamento piso-uncinato e nella eventuale asportazione della neoformazione che causa la compressione. Dura circa 30 minuti. Il ricovero è giornaliero.

Le possibili complicanze dell'intervento sono sovrapponibili a quelle possibili in caso di intervento di liberazione del nervo ulnare al gomito.

Il decorso postoperatorio prevede l'immobilizzazione con una doccia gessata per una settimana. Il recupero della sensibilità e della forza prevede tempi variabili a seconda delle condizioni di sofferenza del nervo. La prognosi è in genere di 30 giorni (salvo complicanze).

Dito a scatto

Il dito a scatto è dovuto generalmente da una infiammazione della guaina sinoviale dei tendini flessori delle dita al palmo. I tendini decorrono all’interno di canali, formati da ponti fibrosi chiamati pulegge. L’infiammazione crea un rigonfiamento che è la causa dello scatto ogni qualvolta attraversa al puleggia durante i movimenti di flessione ed estensione del dito.

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Come si manifesta

Nelle fasi iniziali può manifestarsi la sola presenza del dolore, esacerbato ai movimenti e alla palpazione, in corrispondenza della puleggia A1 del dito. Nelle fasi conclamate si verifica uno scatto doloroso alla flesso-estensione del dito. La patologia, specie se non curata, può esitare con un blocco in estensione o flessione del dito stesso, dovuto all’impossibilità di scorrimento del tendine.

Cura nelle fasi iniziali

Il trattamento nelle prime fasi può essere farmacologico, attraverso l’utilizzo di antiinfiammatori. Se questo non è sufficiente la patologia risponde molto bene al trattamento infiltrativo con cortisonici. L’infiltrazione fa recedere quasi sempre la sintomatologia dolorosa, ma ha meno efficacia sulla possibile eliminazione dello scatto.

Ricorso all'intervento chirurgico

Quando il trattamento incruento si è rivelato insufficiente ed è presenta il dolore, lo scatto e il deficit funzionale, è necessario ricorrere all’intervento chirurgico. L’intervento consiste nella puleggiotomia (taglio della puleggia), allo scopo di liberare il tendine, e nella tenolisi (pulizia, sbrigliamento dei tendini flessori). L’ intervento si esegue in anestesia locale con l’utilizzo di due o tre cc i anestetico e con una breve incisione al palmo in corrispondenza della puleggia A1 del dito interessato. Dura circa 10 – 15 minuti.

Decorso Postoperatorio

Dopo qualche ora dall’intervento, controllati la ripresa della sensibilità e del movimento, il paziente verrà dimesso con le prescrizioni domiciliari. Dovrà eseguire medicazioni quotidiane della ferita chirurgica. Tornerà per una visita di controllo a distanza di 10 – 15 giorni dall’intervento. La guarigione è prevista in genere dopo circa 20 giorni, anche se talvolta può persistere difficoltà all’estensione del dito interessato per un periodo più lungo. Sono sconsigliati lavori manuali pesanti dopo l’intervento per un periodo di almeno un mese.

Sindrome del tunnel carpale

È una patologia molto diffusa che colpisce prevalentemente le donne nel periodo peri e post menopausale. Tuttavia può verificarsi negli adulti a qualsiasi età. Nella fase iniziale si esprime generalmente con delle parestesie saltuarie (“formicolii”) alle prima tre dita della mano. Successivamente le parestesie si presentano sempre più frequenti fino a diventare costanti nelle ore notturne. Nelle fasi più avanzate porta alla perdita della sensibilità e della funzione della mano.

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Cause

La patologia si verifica per una compressione del nervo mediano al polso e/o al palmo, dove passa all’interno del canale del carpo. Nella maggior parte dei casi la S. del T. C. è dovuta alla variazione dell’assetto ormonale nel periodo perimenopausale che comporta una alterazione tissutale edematosa con conseguente compressione del nervo mediano (S.T.C. primitiva o essenziale). La compressione può tuttavia essere secondaria anche ad altre patologie: tenosinoviti dei flessori del polso; esiti di fratture di polso; sindrome algo-distrofica; neoformazioni di vario tipo; muscoli accessori.

Diagnosi

Si esegue diagnosi di Sindrome del Tunnel Carpale in base al territorio delle parestesie, alla positività di sintomi e segni specifici verificabili dallo specialista ortopedico e alla esclusione di altre patologie neurologiche. L’esame strumentale che conferma il sospetto clinico è l’elettromiografia (EMG).

Trattamento

I tutori di posizione da applicare di notte hanno una funzione esclusivamente palliativa per diminuire i sintomi. Nelle fasi acute può essere indicata una terapia infiltrativa con cortisonici. L’intervento chirurgico mini invasivo che si esegue con una mini-incisione al palmo rappresenta l’approccio più risolutivo per le forme essenziali. Prevede la sezione del ligamento trasverso del carpo e la decompressione del nervo mediano. Per le forme secondarie l’intervento chirurgico può prevedere una incisione più ampia allo scopo di eliminare la causa specifica della compressione del nervo mediano.

Dopo l'intevento

Dopo un breve periodo di riposo la mano può essere utilizzata in modo spontaneo, senza tuttavia eseguire sforzi soprattutto con il pollice per circa un mese dall’intervento chirurgico. La ripresa delle attività lavorative non manuali può avvenire anche prima di trenta giorni.

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